alice pasquini pensoero sulla porta
Alice, con il suo nome che è già sicurezza di mondi misteriosi e paesi di meraviglie, è una street artist romana: ha dipinto più di 1000 muri in tutto il mondo

Un muro può dividere, separare persone o culture, e anche chi sta dentro da chi sta fuori. Ma un muro può anche essere fonte di ispirazione, spingere a sognare, a immaginare chi è al di là, diventare trasparente e dare a una scena privata una dimensione pubblica, diventare molto più di un elemento separatore, e farsi veicolo di messaggi. 

I muri di Alice Pasquini sembrano proprio voler fare questo. Alice Pasquini, con il suo nome che è già sicurezza di mondi misteriosi e paesi di meraviglie, è una street artist romana; lei di muri ne ha realizzati mille e oltre in tutto il mondo, in ognuno dei cinque continenti, in città come Bologna, Parigi, Berlino, Marrakech, Melbourne e Barcellona, solo per citarne alcune: “Ho smesso di contarli” assicura. E non li ha né costruiti né abbattuti, bensì dipinti, diventando nel tempo una delle artiste di strada più famose e richieste al mondo, una delle poche donne in un settore popolato da uomini, conosciutissima sui social con i suoi quasi 100mila followers. 

Dal mese di luglio anche la Brianza è entrata a far parte delle location delle sue opere d’arte a cielo aperto: a luglio, infatti, ha dipinto sul muro della Biblioteca Civica di Vimercate una donna, come in quasi tutte le sue rappresentazioni, con la testa letteralmente tra nuvole e alberi e in mano un libro, le cui pagine svolazzano all’aria, bianche, in divenire, come la sua arte.  

C’è voluta una settimana per realizzarlo. Grazie ai social, i suoi fan sono venuti a conoscenza che fosse al lavoro in Brianza, e molti si sono persino messi in viaggio per andare a conoscerla.


alece pasquini murales non ti vedo

L’intervista

FelicitArt: Definisci la tua, un’arte effimera. Cosa intendi?
Alice Pasquini: Non dipingo su una tela, ma su muri esposti alle intemperie, ai passanti, ai cambiamenti delle città. Le mie opere non sono fatte per restare, ma per lasciare un segno, la mia arte non sta nella permanenza, ma nel passaggio. Dipingere in strada mi dà la possibilità di incontrare storie, tessere relazioni, che poi è quello che sta alla base della mia poetica e mi dà la possibilità di offrire un’arte viva, in divenire, influenzata dal mondo, diversamente da quanto accadrebbe se dipingessi tra le mura del mio studio. 

F: Come hai scelto cosa dipingere a Vimercate? Cosa ti ha ispirato?
A.P.: Sono partita dal luogo in cui avrei dovuto realizzare il murale. L’idea che ho elaborato in collaborazione con Uno, l’artista che mi ha aiutato, è stata quella di rappresentare una donna con in mano un libro e tante pagine che volano, bianche perché la storia è in divenire: leggendo, infatti, ognuno può vivere moltissime altre vite al di là della sua. Si tratta di una scena intima in uno spazio pubblico, proprio come la biblioteca che è sì un luogo silenzioso e personale, ma è anche uno spazio pubblico in cui si socializza e si fanno conoscenze.

F: Hai dipinto oltre mille muri, ma ce ne è qualcuno che ricordi più di altri?
A.P.: Ogni muro mi ha lasciato qualcosa e qualcuno. Per esempio, ricordo quando in Vietnam le donne facevano a turno per coprirmi dal sole con gli ombrellini, o quando dipingevo sotto il sole cocente in Sicilia o sotto la neve a Berlino. Ogni muro rappresenta delle persone e delle storie che sono in qualche modo entrate nella mia vita. Ognuno si identifica in quello specifico murale, tanto che mi è capitato spesso che qualcuno mi chiedesse se avessi rappresentato proprio lui. 

F: E il primo, te lo ricordi?
A.P.: Certo. Avevo 17 anni, ho dipinto con una mia amica il muro del circolo giovanile del quartiere. 

F: Nelle tue opere rappresenti soprattutto donne, e lo hai fatto anche a Vimercate… 
A.P.: Rappresento donne reali, come non accade spesso. Non esiste infatti ancora oggi una storia dell’arte scritta dalle donne, abbiamo affidato le rappresentazioni femminili agli uomini e il più delle volte si tratta di eroine super sexy, figure sterotipate, mamme o ragazze in costumi da bagno. Per me è stato naturale, non deciso a tavolino, rappresentare donne comuni, reali, ispirate ai luoghi in cui vado, alle persone che incontro

F: Come vivi il fatto di essere una donna, in un settore dell’arte popolato da uomini? 
A.P.: All’inizio, i miei colleghi uomini non mi prendevano poi molto sul serio. Anche perché ho sempre fatto qualcosa di diverso, con uno stile e un tratto differenti. Oggi, capita spesso che mi si chieda se riuscirò a farcela da sola: davanti a un palazzo di sette piani, per esempio, sembra impossibile che una donna possa salire sul carrello elevatore da sola; oppure, quando sono in compagnia di artisti uomini, chi passa si rivolge principalmente a loro, come se una donna non potesse essere la mente di un murale. È successo anche a Vimercate, dove qualcuno parlava con Uno piuttosto che con me. Ma le cose stanno cambiando: quando ho iniziato, le donne che facevano street art erano una decina in tutto il mondo, ma oggi sono molte di più. Spero di essere da ispirazione: anche per questo firmo le mie opere con nome e cognome per esteso, perché per me è importante che altre giovani si possano identificare, sapendo che “quest’opera l’ha realizzata una donna“.

alice pasquini pensoero sulla porta

(L’intervista ad Alice Pasquindi è stata pubblicata sulla rivista BTOB di Monza)